La guerra dei sette anni

Non ci sono particolari ragioni di ottimismo

La “guerra dei sette anni” è quella che Bankitalia ha detto che si è combattuta in questo scorcio di secolo apertosi con la crisi di Lehman Brothers. Il problema è che ancora non si è conclusa e nel frattempo ha lasciato l'Italia in condizioni tali, che nemmeno le nuove e più favorevoli stime dell’Ocse sulla crescita, consentono particolare ottimismo. L’organizzazione parigina ha rivisto al rialzo rispetto alle previsioni di novembre, le stime di crescita per i tre grandi dell'Eurozona: Italia, Francia e Germania. Ma il solo + 0,6% nel 2015, 0,4 punti percentuali in più della vecchia stima, e dell'1,3% nel 2016, (+0,3 punti), sono poca cosa, soprattutto in rapporto all’intera Eurozona, che quest’anno crescerebbe dello 1,4% , uno 0,1 in più di quanto si prevede per l’Italia anche nel prossimo. Per cui anche se la ripresa economica, anche secondo la Bce, dovrebbe rafforzarsi e ampliarsi gradualmente, sfruttando il miglioramento del clima di fiducia delle imprese e dei consumatori, al netto calo dei corsi petroliferi, all'indebolimento del tasso di cambio effettivo dell'euro nonché all'effetto delle recenti misure di politica monetaria della Bce, l’Italia resta il fanalino di coda. Al nostro paese servono ulteriori riforme strutturali per accrescere il prodotto potenziale. Se aumentare gli investimenti diverrà un elemento chiave di ripresa ciclica nell'area euro, oltre a essere necessario per aumentare la produttività nel medio termine, il nostro Paese deve potersi mettere nelle condizioni migliori. La complessità legislativa, la burocrazia, i troppi livelli decisionali di governo, non aiutano affatto. È curioso che ci si preoccupi del Senato, quando non si sa come risolvere il rapporto giuridico con le province ed ora anche le città metropolitane. Il piano Juncker offre un'importante occasione per catalizzare investimenti privati con il sostegno pubblico entro i vincoli di bilancio attuali, ma la domanda è se l’Italia sia nelle condizioni di avvantaggiarsene? Oltre a riforme incisive, servirebbe una semplificazione più efficace e perché no, anche qualche dismissione per sgravare i conti troppo pesanti dello Stato. Eppure non vediamo ancora nessun segno convincente. Invece, abbiamo visto il ministro dell’Economia Padoan mettere le mani avanti, quasi temesse l’ennesima occasione sprecata.

Roma, 19 marzo 2015